Il 2016 a pedali
2016, un anno ricco per il pedale: oltre alla normale routine delle gare in linea ed a tappe, con l’appuntamento canonico del Mondiale, si chiudeva il quadriennio olimpico ed i Giochi di Rio de Janeiro hanno aggiunto un quantitativo non indifferente di prestazioni di altissimo livello livello su strada e su pista. Ma se si esce dall’analisi emozionale, si scopre come il 2016 a pedali non ha visto nessun corridore affermarsi come un dominatore. Solo un corridore ha saputo fare la differenza nelle corse in linea, inserendo il suo nome nel palmares di più di una gara importante.
L’eccellenza
Di cognome fa Sagan, di nome Peter, ed è diventato bi-campione del mondo di ciclismo su strada, entrando nel ristrettissimo elenco dei grandi ciclisti della storia capaci di doppiare la maglia iridata due anni di seguito: il trionfo del 16 ottobre nel circuito difficile di Doha, tra dune e saliscendi continui ha premiato il capelluto campione slovacco dandogli la gioia di confermare il successo conquistato a Richmond nel 2015. Una prova dello stato di grazia che accompagna questo simpatico guascone, capace di dominare una gara dalle caratteristiche climatiche e stradali tali da abbattere fior fiore di squadroni forse troppo auto-celebrativi, in primis quello italiano, che dopo proclami eccessivi ha visto il solo Nizzolo farsi valere, con un pur nobile quinto posto.
Sagan entra nell’empireo dei campioni che hanno doppiato l’anno successivo alla prima vittoria, campioni del valore di Paolo Bettini (2006-2007), Gianni Bugno (1991-1992), Rik van Looy (1960-1961), Rik van Steenbergen (1956-1957) e George Ronsse (1928-1929): un ristretto club di uomini che hanno fatto la storia della gara iridata. C’è chi, come van Steenbergen conta anche una terza vittoria, la prima, nel 1949, ma chissà che Sagan non riesca nell’impresa che mai nessun corridore ha realizzato, cioè dar corso all’adagio popolare del “non c’è due senza tre” conquistando l’iride mondiale il prossimo anno? E Peter Sagan ha vinto anche la classifica individuale dell’UCI World Tour.

A margine dell’exploit saganiano non arrivano certo note squillanti dalla squadra azzurra che vive, ormai dalla vittoria di Alessandro Ballan nel 2008 con l’argento di Damiano Cunego, un tristissimo periodo di carestia assoluta di medaglie. 8 anni di astinenza cominciano ad essere tanti, 8 anni senza uno straccio di medaglia non si era mai visto negli ottantanove anni di storia del Campionato mondiale su strada professionisti.
L’anno prossimo, a Bergen, in Norvegia, lungo un circuito definito interessante e vario secondo gli addetti ai lavori, sarà il momento di dimostrare che gli italiani sanno ancora vincere le corse in linea.
Le grandi classiche
Perché il quadro generale del ciclismo italiano per il 2016 nelle corse in linea di valore internazionale è decisamente sconfortante: nelle 5 classiche monumento le vittorie sono andate a Arnaud Demare (FRA) nella Milano-Sanremo; a Peter Sagan nel Giro delle Fiandre; all’australiano Mathew Hayman la Parigi-Roubaix; l’olandese Wouter Poels ha conquistato la Liegi-Bastogne-Liegi e a conclusione della stagione, il colibrì colombiano Esteban Chavez ha trionfato al Giro di Lombardia.
E nelle altre grandi classiche non che sia andata meglio ai corridori di italica speme: la Gand-Wevelgem è stata dominata da Peter Sagan; la Freccia Vallone dovrà essere intitolata in futuro a Alejandro Valverde, che ha chiuso una strepitosa tripletta consecutiva (2014-15-16) arrivando a quota 4 vittoria dopo la prima conquistata dallo spagnolo nel lontano 2006; la Clásica San Sebastián se l’è aggiudicata l’olandese Bauke Mollema mentre la Parigi-Tours è stata appannaggio del colombiano Fernando Gaviria Rendón.
Il pedale italiano, con grande difficoltà ha portato a casa la vittoria di Enrico Gasparotto nella Amstel-Gold Race ed il terzo posto, sempre nella corsa olandese di primavera, con Sonny Colbrelli. E l’anno passato ci fu solo la vittoria di Vincenzo Nibali nel Giro di Lombardia. I numeri degli insuccessi in linea degli italiani fanno paura.
Sembra quasi che si stia alla finestra a guardare senza programmare, sperando nell’esplosione di un campione capace di fare la differenza. Il discorso è lungo e lo affronteremo meglio all’inizio della prossima stagione.
Le corse a tappe
Discorso a parte per le grandi corse a tappe: Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta d’España si confermano un concentrato di emozioni e di prove umanamente difficili da valutare.
Vincenzo Nibali ha trionfato nel Giro 2016 davanti a Chavez ed a Alejandro Valverde, due avversari mai domi e che avrebbero non sfigurato con una loro eventuale vittoria. Non è stato un Giro semplice per Nibali, chiamato all’ennesima riconferma della sua classe sui 3383 chilometri di corsa dall’Olanda a Torino. La maglia rosa conquistata solo nella penultima tappa con l’arrivo in quota a Sant’Anna di Vinadio, il duello con Chavez, indomito, forte in salita ed in piano, hanno dato un segnale di crescita e di maturità del campione siciliano che ha saputo reagire ad una corsa che lo ha messo in difficoltà anche per una forma fisica che è andata crescendo troppo piano.
Il Tour de France ha confermato il vincitore del 2015, il britannico Chris Froome, capace di rintuzzare gli attacchi della speranza francese Romain Bardet e di Nairo Quintana, il colombiano che si conferma un grande corridore per le corse a tappe, giunto al terzo podio nel Tour. Froome si aggiudica la Grande Boucle per la terza volta (prima vittoria nel 2013) e si affianca a nomi come Philippe Thys (193-1914-1920), Louison Bobet (capace di trionfare consecutivamente nel 1953-54-55) e Greg Lemond (1986-1989-1990).
Resterà nella memoria la sua corsa disperata e ipnotica, nel bianco feroce del Mont Ventoux, dopo aver rotto la bicicletta tamponando una moto delle riprese televisive, che era rimasta imbottigliata nella calca dei tifosi, ad un chilometro dell’arrivo in quota, anticipato di 6 chilometri per il forte vento. Froome prende una bici a lui non adatta ed allora inizia a correre a piedi in attesa di riceverne una idonea. Una scena surreale, che comunque inizialmente non lo salva. Perde la maglia ma non la perde, perché la giuria del Tour lo grazia, azzerando i distacchi dell’ultimo chilometro.
Poche chiacchiere: la Maglia gialla ha un potere di immagine e di sponsor che non può essere appiedata da un fatto non sportivo, ma occasionale. E si arriva alla Vuelta dove la maglia rossa del vincitore se la aggiudica Nairo Quintana.
Il colombiano succede a Fabio Aru tra i vincitori della corsa spagnola e se ce ne fossero ancora di dubbi, li spazza via: la sua vittoria gli dona il giusto riconoscimento per una carriera che si è costruito passo passo. Una tappa vinta, 12 tappe complessiva in maglia rossa, di cui 11 consecutive, ed una condotta di gara da vero dominatore sono la firma con penna d’oro per il colombiano.
I Giochi Olimpici di Rio de Janeiro
Il 2016 è Anno Olimpico, ed il momento centrale della stagione sono stati i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro.
Le gioie su strada son giunte dalla bici femminile, con la bellissima medaglia di bronzo di Elisa Longo Borghini, giunta terza nella corsa in linea, in uno sprint dominato in maniera monumentale dalla olandese Anna van der Bregghen. La felicità della atleta italiana è lo stimolo più grande per un movimento femminile che assicura sempre, nelle grandi occasioni, un acuto vincente.
Note dolenti su strada per i maschi, con la caduta di Vincenzo Nibali lanciato verso il traguardo, su un percorso che ha messo in difficoltà molti corridori, per l’inadeguatezza della sicurezza lungo la strada, con cordoli di cemento ai lati e l’asfalto scivoloso: e che nei successivi Giochi Paralimpici ha visto la morte del corridore iraniano Bahman Golbarnezhad, caduto e finito fuori strada. Nibali e la squadra italiana hanno da recriminare, ma resta comunque la bella prestazione generale, con il sesto posto di Fabio Aru.
I Giochi di Rio per l’Italia portano il nome, però, di Elia Viviani, eroico trionfatore della prova dell’Omnium maschile su pista, capace di lasciarsi alle spalle un mostro sacro come il britannico Mark Cavendish, ma soprattutto di reagire con furore agonistico, degno dei più grandi campioni dello sport mondiale, ad una caduta che poteva relegarlo agli ultimi posti della gara finale, dopo due giorni di battaglia.
La gioia, le lacrime, la festa travolgente, la medaglia luccicante sul petto di Elia Viviani sono, permettetecelo, il simbolo del 2016 a pedali, e un bellissimo punto di partenza per il grande movimento su pista italiano, che piano piano rialza la testa!